di Benedetta Lazzeri
C’erano 156 delegazioni nazionali e quasi 200mila fedeli domenica scorsa in Piazza San Pietro; uomini e donne da tutto il mondo si sono riuniti per assistere alla cerimonia di insediamento del nuovo vescovo della Chiesa di Roma, papa Leone XIV, che ha dato inizio al proprio magistero con il ricordo di papa Francesco e l’invito a perseguire la pace.
A quasi quindici giorni dall’elezione del cardinale Prevost quale 267 esimo pontefice e a seguito del suo primo colloquio con il numero due della Casa Bianca JD Vance, è importante chiedersi quale sarà – se ci sarà – la teologia politica del nuovo reggente, cercando di capire, innanzitutto, in quale direzione Leone XIV cercherà di indirizzare la sua Chiesa e quali insegnamenti e decisioni vorrà ereditare dal magistero di Bergoglio.
«Prima di interrogarsi sugli elementi di continuità con papa Francesco, può essere utile ricordare le caratteristiche principali dello scorso pontificato», spiega Daniele Menozzi, storico della Chiesa, professore emerito della Scuola Normale Superiore di Pisa e accademico dei Lincei. « Si possono facilmente individuare, ricordando le dichiarazioni che egli stesso rilasciò ai giornalisti per spiegare il nome scelto per il proprio pontificato. Francesco d’Assisi, secondo Bergoglio, era stato l’uomo della pace, della povertà e della cura dell’ambiente; ecco, questi tre elementi sono stati centrali nel magistero di Francesco e sono tutti punti rispetto ai quali Bergoglio si è distinto per originalità».
Un esempio di questa innovazione, spiega il professor Menozzi, lo si trova nel messaggio di papa Francesco in occasione della Giornata mondiale della pace del 2017. Già in quella circostanza, il pontefice aveva indicato la “non violenza attiva” come l’atteggiamento coerente con il Vangelo che il fedele avrebbe dovuto assumere nei confronti della guerra: «una cosa del tutto inedita nel magistero pontificio contemporaneo, così come nuova era stata la volontà di promuovere una Chiesa povera e per i poveri, ossia di guidare una Chiesa che non si limitasse a prestare aiuto, ma che assumesse la condizione di chi necessita di quell’aiuto», continua Menozzi. «Rispetto alla cura dell’ambiente, infine, l’opera e la predicazione di Bergoglio si sono spinte molto oltre l’idea di una salvaguardia del creato come generica raccomandazione etica, stabilendo un forte nesso tra la custodia dell’ambiente e l’affermazione di una giustizia sociale tra tutti gli uomini viventi sul pianeta. Tre elementi di novità che costituiscono, in gran parte, l’eredità del pontificato di Francesco e ai quali ne affiancherei un quarto: la dimensione sinodale della Chiesa. In altre parole, la realizzazione dell’insegnamento papale fu affidata, dal pontefice stesso, ad una Chiesa nella quale tutti i battezzati vengono coinvolti e partecipano a ciò che la Chiesa stessa intende fare nel mondo».
Obiettivi nuovi e una nuova modalità di perseguirli: « quanto di questa eredità sarà effettivamente conservata, è presto per dirlo - prosegue lo studioso – . Certamente, possiamo intravedere una volontà di indirizzarsi sul solco di Francesco dai primi interventi pubblici di Leone XIV cui abbiamo assistito, ma sarà una continuità selettiva. Mi sembra significativo, a questo proposito, che nel discorso fatto ai cardinali il giorno successivo alla propria elezione, nell’Aula del sinodo, il vescovo di Roma abbia esplicitamente fatto riferimento all’esortazione apostolica Evangelii gaudium – il testo nel quale Francesco aveva indicato le linee programmatiche del proprio governo – dando una precisa indicazione su quali elementi sarebbero rimasti centrali nel suo magistero e quali no. Sicuramente verrà raccolta e preservata la dimensione della sinodalità (integrata da una dimensione di collegialità), così come la dimensione missionaria, centrale anche per la regola di fede della congregazione dalla quale il papa proviene, quella agostiniana».
Chiedersi cosa dell’eredità di Francesco verrà raccolta nel nuovo magistero porta necessariamente a domandarsi quali posizioni Leone XIV acquisirà rispetto a due questioni che hanno fortemente caratterizzato la novità del rapporto della Chiesa di Francesco con il Secolo: il tema dei diritti civili delle coppie omosessuali e quello della possibilità di affidare alle donne ruoli di governo all’interno della Chiesa. «Per rispondere correttamente è giusto dire che, a questo livello, nonostante siano note le posizioni del cardinal Prevost in merito ai temi da lei sollevati, non possiamo che avanzare delle ipotesi; infatti, non sono rari i casi in cui possiamo riconoscere una distanza significativa nelle posizioni abbracciate da un pontefice prima e dopo la sua elezione. Quello che posso dire è che credo sia da escludersi un passo indietro rispetto alla possibilità delle donne di assumere posizioni rilevanti nei ruoli di governo dell’Istituzione ecclesiastica, mentre sappiamo, da sue dichiarazioni precedenti, che il cardinal Prevost non era favorevole al diaconato femminile e possiamo aspettarci che sul ministero ordinato femminile non ci sarà un cambio di rotta. Per quel che concerne i diritti civili, non penso ci si debbano aspettare differenze rispetto alla decisione – del tutto innovativa – di Francesco di non interferire nelle ragioni e nelle decisioni dello Stato in questa materia. Nondimeno, c’è un altro elemento introdotto da Bergoglio che va tenuto presente e cioè l’affidamento alle conferenze episcopali nazionali e continentali della questione della benedizione delle coppie omosessuali e del loro inserimento e accompagnamento all’interno della comunità cattolica. Su questo secondo aspetto è possibile che la situazione si ribalti e che il comportamento delle conferenze venga dettato da Roma in modo unanime e uniformemente vincolante».
Le ragioni della scelta di Robert F. Prevost sono da ricercarsi, ci spiega il prof. Menozzi, nella volontà delle congregazioni cardinalizie tenute prima del conclave di mantenere una continuità rispetto alle innovazioni introdotte da Francesco e di garantire, allo stesso tempo, un governo solido in grado di far funzionare al meglio la macchina curiale e, in generale, ecclesiastica. «Prevost è un uomo che ha dimostrato, nel corso della sua lunga carriera ecclesiastica, non solo di avere capacità di governo, ma anche di avere buone capacità di mediazione; credo fosse questa l’idea della congregazioni del collegio dei cardinali: un pontefice che riuscisse a far funzionare la macchina istituzionale della Chiesa, introducendo al suo interno alcuni degli elementi di novità del magistero precedente».
Resta aperta la domanda sul ruolo geopolitico della Chiesa di Roma in un presente di conflitti e minacce a quella stabilità che l’uscita dall’ordine bipolare del mondo, pur con tante eccezioni era, fino ad ora, riuscita a preservare; un ruolo, peraltro, che anche Francesco era interessato a mantenere: « la Chiesa cattolica ha conservato, anche dopo la perdita del potere temporale, la funzione di autorità morale sullo scenario internazionale, andando ad interpretare il ruolo di guida etica dei diversi attori politici che si sono affacciati sulla scena del mondo, per esempio persuadendoli a seguire delle specifiche regole di comportamento quali la risoluzione pacifica dei conflitti, il riconoscimento del diritto alla libertà religiosa, la promozione di organismi internazionali in grado di stabilire un’idea di fratellanza tra tutti i popoli. Credo che, soprattutto in una situazione che vede la mancanza di leader capaci di assumere il ruolo di guida, la Chiesa di Roma, anche in forza del grande consenso che continua a ricevere in tutto il mondo, possa veramente avere un’influenza morale sulla politica internazionale. Le ripetute voci che indicano nel Vaticano la sede di una prima trattativa nel conflitto tra Russia e Ucraina ne sono una evidente testimonizanza».
Se il ruolo geopolitico della Chiesa di Roma non sembra essere in discussione, altra questione è come un pontefice americano deciderà di esercitare la sua autorità morale: « Se pensiamo alla prima apparizione di Leone XIV, già abbiamo un’indicazione. “Costruire ponti”, è stato questo il centro del suo discorso; a ben vedere il problema dei ponti contro i muri è stato anche al centro del magistero di Francesco e una tale dichiarazione ci fa pensare che neanche Prevost cederà alle derive nazional-populiste e razziste dell’attuale amministrazione americana». Non solo – continua lo studioso – in un successivo discorso, il papa ha fatto riferimento alla necessità di ricercare la pace innanzitutto attraverso l’uso di un linguaggio disarmato e disarmante, rifacendosi così esplicitamente (ancora una volta) al suo predecessore. « Anche qui siamo di fronte ad un atteggiamento completamente diverso da quello di personaggi come Trump o Vance, la cui retorica trasuda aggressività in ogni parola. Ovviamente, questo è anche un papa che più volte ha raccomandato un atteggiamento di incontro e di dialogo, ma questi due elementi mi fanno pensare che un eventuale incontro negoziale tra Santa sede e amministrazione americana implichi un passo indietro di Trump rispetto alla sua arroganza piuttosto che una concessione della Chiesa ne attenui i principi morali cui si ispira la sua azione».
Tra le tante domande che rimangono aperte, si inserisce anche quella del rapporto con il mondo protestante e riformato. Il cattolicesimo americano di stampo repubblicano, infatti, ha recentemente dimostrato una forte ostilità nei confronti di confessioni altre rispetto al cattolicesimo: « La riflessione che mi viene spontanea – dice Menozzi – è che anche Lutero era un agostiniano, come l’attuale pontefice, non mi sembra impossibile pensare che, sulla base di questa comune provenienza, si possano trovare degli spazi di apertura e dialogo. Certo, non vedo passi verso la riunificazione dei cristiani, resa peraltro oggi impossibile dal conflitto tra il patriarcato di Mosca e quello di Costantinopoli, come pochi sono stati i passi di Francesco in questa direzione. Quello che, negli ultimi anni, è stato fortemente incrementato è stato invece il dialogo interreligioso e non c’è motivo di pensare che si torni indietro su questo. È chiaro, un dialogo presuppone almeno due voci, bisogna vedere come reagiranno le altre voci delle religioni mondiali alle tendenze espresse dal nuovo papa».